Guardo la foto di Lorenzo Parelli, lo studente di diciotto anni ucciso da una putrella a Udine mentre lavorava, e non posso fare a meno di tornare indietro negli anni.
Ricordo il mio primo lavoro, a 16 anni appena compiuti, lavoravo come cameriere in una pizzeria del centro di Napoli, era verso la fine della primavera, la scuola stava per terminare ed io volevo iniziare a mettere da parte un gruzzoletto per comprare un computer o uno scooter. Frequentavo una scuola nella parte ricca della città, lontano dalla periferia est da cui provenivo io. I miei compagni di classe erano tutti, o quasi, benestanti, la cosiddetta Napoli bene. Eravamo in un liceo e noi figli di lavoratori eravamo la minoranza. Loro, la maggioranza, al lavoro non ci pensavano per niente, si crogiolavano nel consumo a cui avevano accesso grazie alle loro famiglie. Quelli erano i “chiattilli”. Andare a lavorare a 16 o 14 anni, o ancora prima, senza alcun contratto erano “cose che si vedevano solo nelle periferie di Napoli”.
L’estate del 2001 iniziai a lavorare durante l’anno scolastico a week end alterni in un’altra pizzeria, in centro, sempre senza contratto. Avevo cercato di cambiare lavoro perché nella pizzeria in cui lavoravo guadagnavo poco, 20 euro al giorno più le mance. Anche qui gli amici di scuola, o amici più adulti mi dicevano che solo in quella pizzeria si guadagnava cosi poco.
Riuscii a trovare lavoro in una pizzeria in cui ricordo che si fischiettava goliardicamente a tutte le ore la musica del film “Il camorrista”, il film diretto da Tornatore, e le musiche dirette da Nicola Piovani, con Cutolo interpretato da Ben Gazzarra. Io ero stato nominato “Sandokán” per i capelli lunghi che avevo, ma nonostante l’altisonante soprannome che mi fu assegnato a me erano riservate le casse d’acqua da portare su e giu dallo scantinato perché ero l’ultimo arrivato. Il lavoro non mi ha mai spaventato e lì guadagnavo la bellezza di 30 euro a serata. Le raccomandazioni erano sempre le stesse: “obbedisci agli ordini, fatti i fatti tuoi e rispetta i superiori”.
Un giorno, verso il tramonto – avevamo appena iniziato ad apparecchiare la sala, pulire i cessi e caricare le casse d’acqua – arrivò un signore con un cappotto e scarpe molto eleganti, un bell’orologio, anelli e catena d’oro, in cucina si iniziò a cantare ad alta voce la musica del film con il mitico Ben Gazzarra, poi a turno uscivano tutti a salutare il signore in doppiopetto. Il pizzaiolo mi guardò sbigottito nello scoprire che non riconobbi il boss della famiglia Nuvoletta, che controllava buona parte del centro storico di Napoli. Erano “cose che potevano accadere solo a Napoli” mi dicevano amici e parenti dal nord Italia.
Dopo qualche mese mi spostai in un ristorante a Santa Lucia, verso la zona bene di Napoli, anche qui mi toccavano le casse d’acqua, oltre il servizio ai tavoli, ed anche qui sempre senza contratto. Non si fischiava nel locale, ma dopo qualche mese scoprii che anche quella attività era gestita dalla famiglia Nuvoletta. Ci lavorai comunque.
Poi riuscii a terminare la scuola e andai a studiare a Roma, dove ho avuto modo di lavorare negli ambiti più svariati, una lunga carriera nella ristorazione, sempre senza contratto, fino ai cantieri per montare i palchi con il mitico Sergione! Lì non tiravo su le casse d’acqua, ma tiravo su i tubi innocenti per le impalcature. Ebbi anche l’esperienza di firmare un contratto, di 5 euro l’ora (6 euro dopo le 20), che non fu mai registrato. Ma ricordo benissimo il giorno in cui mi trovai a montare il palco per la festa della polizia, il palco era a via dei Fori Imperiali, per fare qualcosa di diverso dissi al sor Sergione che volevo fare anche io la “scimmia”. La scimmia era un livello di operaio più alto, che si arrampicava sulle impalcature in maniera acrobatica, a volte legandosi con appositi cavi di sicurezza, a volte no. Lì Sergione, dall’alto della sua esperienza, con la sua grande pancia da capo cantiere, mi spiegò l’essenza del lavoro in Italia: “tu se vuoi te puoi pure arrampicà, è facile, basta che non fai cazzate. Gli incidenti sul lavoro succedono perché l’operaio si distrae, le regole ci sono e se quarcuno se fa male è solo perché non sta attento”.
Con Sergione montammo anche il palco per il concerto di Madonna, c’era chi lavorò fino a 20 ore consecutive, andò avanti a Herbalife e cocaina per portare a casa 120€ in un giorno. “Sono cose che succedono solo a Roma” mi dicevano gli amici che non erano di Roma. Ho lavorato più di 20 anni, e ho fatto i lavori più disparati, ma l’INPS ne vede solo 4, mentre le ernie che ho accumulato non le ha mai viste nessuno, a parte qualche ortopedico della mutua.
Ho lavorato come operaio e come manager, da Napoli agli USA e in tutti questi anni ho imparato che per ogni azienda, grande o piccola che sia, gli errori li pagano i lavoratori.
Questo il principio del cammino che mi ha portato in giro per il mondo sulle tracce dell’industry 4.0, in Vietnam, dove il sistema produttivo capitalistico si esprime al suo meglio nelle fabbriche degli investitori esteri. Ed è al modello vietnamita che oggi si ispira il modello di produzione globale. Dopo anni di studio e osservazione, ho scoperto che i criteri di sfruttamento del lavoro sono solo una versione più raffinata degli insegnamenti di Sergione. Ma ogni volta che torno in Italia, sento dire che “certe cose accadono solo in Vietnam”.
Cosa c’entra Lorenzo Parelli, lo studente che è morto ammazzato di lavoro a 18 anni, colpito da una putrella, con tutta questa storia?
STUDENTE-MORTO-DI-LAVORO, un ossimoro incomprensibile senza una visione capace di ricostruire gli ultimi 30 anni delle classi meno abbienti di questo Paese. Inaccettabile se non si comprende come sia possibile che viviamo in un’epoca in cui gli studenti degli ultimi anni delle superiori sono obbligati a lavorare gratuitamente.
Il capitale negli ultimi 30 anni ha fatto balzi in avanti da gigante, in maniera proporzionale a quella che il proletariato ha fatto in dietro. 18 anni fa io stesso studiavo e in maniera illegale lavoravo per guadagnare pochi spiccioli, credevo di essere un outsider. Oggi invece mi sento tra i pionieri – insieme a Sergione – che hanno ispirato la riforma della “buona scuola”. Un allenamento che è durato decenni per educare gli studenti all’obbedienza al padrone e alla disciplina dell’azienda. Oggi a scuola insegnano gli stessi principi che 20 anni fa imparai al ristorante gestito dai Nuvoletta, “obbedisci agli ordini, fatti i fatti tuoi e rispetta il padrone”. Un intero sistema scolastico costruito per garantire ai padroni, ai boss, alle classi dirigenti una manodopera incapace di ribellarsi a qualsiasi abuso, ma molto performante.
Così nelle fabbriche degli investitori esteri in Vietnam credevo di avere visto il capitale al massimo della sua potenza, ma quello che le classi dirigenti stanno mettendo in atto in Italia è ancor più lungimirante e mostruoso. Lo smantellamento della scuola pubblica è la base su cui si sta costruendo un nuovo medioevo. Noi pionieri lavoravamo per guadagnare pochi spiccioli a nero, oggi insegnano ai ragazzini a lavorare gratis, con la promessa di trovare un lavoro, in cui forse avranno anche un contratto.
Se avessi conosciuto Lorenzo gli avrei raccontato la mia storia, gli avrei raccontato dei litigi con i padroni, gli abusi, la connivenze delle autorità preposte a ispezionare i luoghi di lavoro, i licenziamenti, gli errori, e gli avrei raccontato nei dettagli anche di quando ho lavorato come manager per una delle più grandi multinazionali del mondo, della scientificità con cui ci era richiesto di spremere i lavoratori. Gli racconterei tutto nei minimi dettagli, perché oggi abbiamo la certezza che la scuola in Italia racconta tutta un’altra storia ed è ormai complice del massacro che ogni anno si compie sulle spalle dei lavoratori, e sono anni che la scuola è diventato l’altare su cui si preparano le bestie per arrivare sedate al macello.
Forse se qualcuno avesse raccontato con coraggio, a Lorenzo, cosa sta accadendo in questo Paese, quella putrella non lo avrebbe mai ucciso.
L’unica strada da percorrere è tornare nelle scuole e nei posti di lavoro per costruire il conflitto, per sovvertire il sistema che porta avanti questa mattanza. La pace sociale che hanno costruito nel 2021 è costata oltre 1100 vite di lavoratori solo in Italia. Certe cose succedono ogni giorno ai nostri cari, da Napoli a Udine, da Dallas ad Hanoi.
Occorre unità, occorre formazione ed occorre che ogni padre, madre, fratello, sorella, insegnante assuma la responsabilità del proprio ruolo con una visione militante, di lotta senza tregua.
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