Reportage di Emma Ferulano e Parsifal Reparato.
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“Quello che si prova qua è qualcosa di indescrivibile. Oggi mi si apre il cuore, è una cosa che succede solo in questo giorno, è sconvolgente quello che si prova nell’anima, purtroppo non te lo posso descrivere”.
Raffaele viene qui da 49 anni. Come ogni lunedì in Albis, anche questa mattina è partito alle 7 di mattina da Capodichino in seguito alla rituale benedizione del prete a lui e la sua Paranza, composta da Battenti, Capo Battenti, Porta Bandiere, Tosellisti, Stendardisti. Dopo quasi 5 ore di cammino sono arrivati a Sant’Anastasia, la processione è affollata e partecipata da migliaia di altre Paranze che intonano canti e balli in onore della Madonna dell’Arco. La Madre che tutti sa ascoltare e abbracciare.
Raffaele è un omone di mezza età che non riesce a trattenere la commozione quando parla della Madonna, racconta con le parole che riesce a trovare in questo momento così denso i sentimenti che lo pervadono e l’amore per questa Madonna, che è “diverso da quello che provo per il Signore, per Gesù Cristo”. Tra gli occhi commossi e la voce tremante di Raffaele è impossibile non sentire la potenza dell’evento che ha radici profonde nella cultura popolare. Una cultura insistente, radicata, profonda che è riuscita a sopravvivere oltre la liturgia imposta dalla Santa Romana Chiesa, che è riuscita ad inserire i suoi riti all’interno della liturgia ufficiale della Chiesa.
Ci sono due strade in cui le paranze si ammassano ordinatamente: una raccoglie quelle che vengono dai paesi vesuviani, Brusciano, San Giuseppe, San Gennaro, l’altra quelle che provengono da Napoli e dalle province dell’area nord, Giugliano, Mugnano, Melito, Caivano. Tutte vedono davanti a sé il Santuario, freddo, alto, immobile, che sembra irraggiungibile anche se così vicino. La fatica di ore e ore di attesa e di lento incedere si sopporta proprio perché la meta è certa. La Madonna con il livido sulla guancia e il bambino in braccio è lì dentro una piccola teca, aspetta di sentire e accogliere il canto di dolore di tutti. Intorno a lei, sulle giganti mura del santuario centinaia di dipinti ex voto, di molte epoche, di molte grazie ricevute, a testimoniare la sua potenza nell’esaudire le richieste di tutti.
“Basta avere fede, è la Madonna di tutti” dice Antonio, il più anziano della Paranza dei Pescatori di Mergellina, posizionata un po’ più avanti nel corteo che trasporta una Madonna azzurra circondata da conchiglie, una collana brillante con vetri smerigliati e reti con i pesci impigliati. Racconta che fino a qualche anno fa si raccoglieva la questua con un fazzoletto bianco unito ai quattro lembi, non ci si fermava mai, anche durante la questua si continuava a saltellare presi da un fervore incontrollabile, da qui il nome fujenti. Racconta di un passato che va scomparendo. Lui ha 75 anni, continua il suo pellegrinaggio senza bere e senza mangiare lungo tutto il tragitto e ricorda: “quando venivamo noi non c’era nessuno, non mangiavamo, non bevevamo. Noi venivamo solo per salutare la Madonna. Oggi invece c’è un mercato di tutto questo, perché non c’è più fede come una volta. C’è ancora qualcuno come me che fa questo pellegrinaggio come una volta. Ma i giovani d’oggi lo fanno per esibizionismo”.
Oggi, per l’intensificarsi di misure antiterrorismo, la spazio antistante alle porte Santuario è presidiato dai carabinieri che si trovano a regolare il traffico delle paranze come meglio possono, concedendo 40 minuti ai paesi vesuviani, altri 40 ai napoletani, e solo 10 minuti ai civili che non appartengono alle paranze ma che vogliono vedere cosa c’è dentro, vogliono chiedere una grazia, e spingono dallo stradone centrale. Dall’alto del campanile che suona ogni volta che quindici paranze sono riuscite a entrare, sicuramente si vedrebbe una croce umana, fatta di fedeli, devoti, curiosi.
‘Se giudichi le persone, non avrai tempo per amarle’. Le bandiere sono moltissime, un’ostentazione dello status raggiunto da ogni Paranza, ma anche un motivo di orgoglio, portate con fierezza da giovani e giovanissimi, scalzi, sudati, appassionati, che possono avvolgere dentro il proprio volto e baciarle. Talvolta vengono riportati i nomi di alcune personalità di spicco all’interno delle singole Associazioni che a volte si riferiscono a personalità del quartiere legate alla malavita, ai boss, e quindi negli ultimi anni il cardinale Sepe ha interdetto l’ingresso di tali bandiere all’interno della Chiesa di Sant’Anastasia.
Durante l’attesa, le paranze si muovono a ritmo di musica, con le pesanti bandiere e i carri, ballano, girano su se stesse, si incrociano con quelle vicine, piedi neri e spalle curve mantengono il passo e lo cambiano a seconda delle note, sono balli in cui i corpi sono schiacciati da un grande peso materiale di cui non ci si può liberare, ma che fa parte della danza. Non mancano anche alcune donne a reggere e a volteggiare, giovani e meno giovani. Altre assistono con i bambini che ancora non possono sostenerlo ma fanno parte del gruppo e prima o poi toccherà anche a loro, condividono tutto il rituale da piccolissimi, la tradizione si tramanda di padre in figlio da generazioni, fa parte di un destino collettivo. Sono stanchi, nel pomeriggio il sole comincia ad andare via e l’energia inizia a calare, ma non potrebbero essere in nessun altro posto. Al culmine dell’incontro tra musica e paranze, le lacrime escono da sole.
Tra il potere estatico di questo antico pellegrinaggio si radica il sapere popolare che riesce a esprimere il sommerso di un’umanità che sopravvive, spera, muore ogni giorno schiacciata dal potere egemonico e da una cultura maggioritaria, conformista e diffusa, che appiattisce il rito, lo disprezza, lo denigra.
Emerge incontrastato ed esplosivo il sapere di un popolo che ogni giorno esce dai piani bassi, dai vicoli stretti di Napoli, dai quartieri popolari della periferia e della provincia remota. Territori avvelenati e cittadini ammalati di mali inguaribili, che rivolgono il loro grido di dolore e le loro fiduciose richieste alla Madonna dell’Arco. Non a caso la maggioranza delle grazie riguarda malattie legate ai tumori.
Ci sono anche i fedeli che vengono a pregare per gli altri, perché grazie alla Madonna nella loro vita è andato tutto bene. “Io non ho bisogno di niente, ho dei figli laureati che lavorano, io lavoro, guadagno bene, non è un passione, la passione è il Napoli, questa è fede. Io vengo per pregare, ringraziando Lei non ho bisogno di altro, io vengo per pregare per tutti quelli che ne hanno bisogno, per le malvagità, per le guerre, pecché e’ creatur’ nun’ hanna murì ancora e’ famm’”.
Lo studio, la condivisione e la partecipazione ai culti popolari vanno di gran lunga oltre il significato puramente religioso, rappresentano un patrimonio dell’umanità che merita cura, comprensione, attenzione anche da un punto di vista squisitamente laico.
Passa la giornata tutti insieme, le bancarelle che costeggiano i lati della strada fanno un bel po’ di affari vendendo granite, caramelle, panini, zeppole e pizze fritte a prezzi stracciati; ma si lasciano coinvolgere dalle emozioni che circolano, fanno video con gli smartphone nei momenti culminanti. Come quando dalla Paranza di San Giovanni a Teduccio, che porta oltre alla statua e alle bandiere anche un notevole impianto audio, si leva al microfono un canto che intreccia contenuto religioso e ritmo neomelodico, si forma un cerchio di uditori incantati, le bandiere volteggiano e si intrecciano. Qualcuno, nel mezzo della folla e dei canti, si mette a riposare disteso sotto il proprio carro.
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